Legge di Bilancio. Iva sugli assorbenti prevista riduzione al 10%

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Una donna, nel corso della propria vita fertile, è soggetta in media a 456 cicli mestruali, pari a 2.280 giorni, per un totale di 6,25 anni” e con l’aliquota al 22% la spesa pro capite è “di circa 1.704 euro per i soli assorbenti e di oltre 15mila euro se a essi si aggiungono altri prodotti quali medicinali per ridurre i dolori o anticoncezionali”

È quanto previsto dal governo Draghi dopo anni di tentativi andati a vuoto nel ridurre l’altissima aliquota sui prodotti per l’igiene femminile. Nonostante il taglio sia consistente, rispetto al 22% imposto attualmente, si tratta ancora di una soluzione di compromesso, visto che in altri paesi europei l’Iva su questi prodotti si colloca tra il 4 e il 5%, mentre in Irlanda e Regno Unito è addirittura a zero.

Sul problema assorbenti ,  nil governo  irlandese  , ha deciso di azzerare completamente l’imposta nel 2006, e il Regno Unito, dove l’aliquota era già al 5% ma è stata poi completamente abolita lo scorso anno. In Germania, invece, l’Iva è stata abbassata dal 9 al 7% solo tre anni fa e in Francia è fissa al 5,5%. Mentre Portogallo e Paesi bassi hanno una tassazione del 6%.

Negli scorsi giorni, i giornali riportavano l’ipotesi di un taglio della cosiddetta tampon tax fino al 4%, ma le forze di maggioranza hanno preferito accordarsi sul 10%, ritenendo un taglio maggiore troppo oneroso per le finanze dello Stato. Secondo i calcoli della commissione Bilancio della Camera, la riduzione al 10% costerà circa 212 milioni di euro, contro i 300 milioni che implicherebbe una riduzione al 5%.

In Italia le donne sono costrette a pagare sugli assorbenti un’aliquota al 22%. Un balzello extra, dato che l’Iva per i beni di prima necessità è fissata al 4% e per molti prodotti sono previste aliquote agevolate tra il 5 e il 10%. Mentre i tartufi sono considerati prodotti su cui pagare solo il 5% di Iva, a seguito di una riduzione dal 10% precedente approvata nel 2018, sugli assorbenti insiste ancora una pesante imposta. Anche la riduzione al 10% continua a non tenere conto del loro carattere di bene necessario per la salute femminile, soprattutto se si mette a confronto l’Iva italiana con quella degli altri paesi europei.

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