Infibulazione praticata su 130 milioni nel mondo

Estimated read time 8 min read

E in Italia si fa nei centri piercing

Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche tradizionali che hanno gravissime conseguenze sia fisiche che psicologiche per le donne e le bambine che vi sono sottoposte, che si stima siano 135 milioni nel mondo. Queste pratiche sono diffuse in molti paesi africani, in alcune zone della penisola arabica e dell’Indonesia e all’interno di alcune comunità immigrate in Europa, America e Oceania. Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intende un insieme di pratiche rituali tradizionali presenti in molte comunità africane e asiatiche, connesse a riti d’iniziazione femminile e d’integrazione sociale, attraverso cui si effettua l’asportazione totale o parziale dei genitali femminili.
 
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno sarebbero circa due milioni le ragazze e bambine costrette a subirne le pesanti conseguenze, mentre si stima a 135 milioni il numero totale di donne e bambine mutilate nel mondo. Tali pratiche, difese dalla comunità d’origine in nome della tradizione e spesso, per paura dello stigma sociale e dell’emarginazione, dalle stesse donne che le subiscono, rappresentano un gravissimo pericolo per l’integrità fisica e psicologica della donna: sono causa di emorragie, infezioni, traumi e, talvolta, di morte, poiché aumentano la probabilità di complicazioni durante il parto. Oggi le mutilazioni genitali femminili sono osteggiate da gruppi e associazioni di attivisti in tutto il mondo in quanto considerate una grave forma di violenza, oltre che un brutale strumento di controllo della sessualità femminile, che permette il perpetuarsi della condizione discriminatoria che molte donne vivono all’interno delle loro comunità. Le MGF rappresentano un’esplicita violazione dei diritti umani delle donne, così come sono stati formulati nei vari trattati internazionali, cui gli Stati responsabili sono chiamati ad adeguare le loro legislazioni interne.
  
Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e Senegal) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne specializzate nel praticare l’operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle donne è normalmente condannata alla povertà e all’esclusione.

La escissione/mutilazione genitale femminile (E/MGF) colpisce molte più donne di quanto non si pensasse in precedenza. Dati recenti rivelano che sul continente africano (Africa subsahariana, Egitto e Sudan) ogni anno circa tre milioni di bambine e donne sono sottoposte all’intervento. Questa pratica dannosa è una grave violazione dei diritti umani fondamentali delle bambine e delle donne. La E/MGF sta diventando un problema di portata mondiale. Non è solamente praticata nelle comunità dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche nelle comunità di immigrati nei paesi di tutto il mondo, in virtù dei crescenti flussi migratori di popolazioni. Conseguire una vera trasformazione sociale è un processo lungo e complesso. Eppure, ci sono buone ragioni per essere ottimisti e pensare che con il sostegno di tutta la comunità internazionale, sia possibile porre fine alla E/MGF nell’arco di una sola generazione. Ciò è possibile perché conosciamo gli elementi necessari per accelerare l’abbandono dell’usanza all’interno delle comunità che la praticano. Mai prima la comunità internazionale ha raggiunto una tale precisa conoscenza dei motivi della persistenza della E/MGF. La pratica è considerata fondamentale per garantire il prestigio di una bambina o donna, per consentirle di trovare un marito, per conferirle castità, salute, bellezza e onore della famiglia. 

Questa tradizione sociale e culturale profondamente radicata esercita una pressione talmente forte che le famiglie sono disposte a sottoporre le figlie all’operazione anche quando sono consapevoli dei danni che ne possono derivare. Varie iniziative promettenti si fondano sul sostegno alle comunità dell’Africa e del Medio Oriente per spingerle a rinunciare alla E/MGF. Le strategie più riuscite assistono le comunità a definire da sole i problemi e le soluzioni. Stimolano un dibattito aperto e senza pregiudizi.  

Aiutano le famiglie ad acquisire consapevolezza dei diritti umani e delle loro responsabilità. Incoraggiano le comunità che hanno deciso di abbandonare la E/MGF a diffondere il messaggio presso i villaggi vicini. Le comunità non possono abbandonare la E/MGF senza un sostegno. Per porre fine alla E/MGF su larga scala, le comunità devono essere sostenute con misure legislative e politiche, occasioni di dibattito pubblico, e messaggi da parte dei mezzi dell’informazione che rispettino le loro sensibilità culturali. Hanno anche bisogno di sostegno da parte dei capi religiosi e di altri creatori di opinone. Coinvolgere gli adolescenti e i giovani è essenziale per promuovere l’abolizione della pratica. Attraverso una loro significativa partecipazione, gli adolescenti sviluppano gli strumenti che servono loro per prendere decisioni autonome sulle loro vite e per infrangere i circoli viziosi, compresi quelli della discriminazione di genere e della violenza tramandate da una generazione all’altra.

L’UNICEF si adopera per influenzare le politiche, le leggi e i bilanci dei paesi in favore dell’abbandono della E/MGF. Forniamo molti tipi di sostegno ai nostri numerosi interlocutori, tra cui organizzazioni non governative come Tostan in Senegal, il Centro per le attività di istruzione, sviluppo e demografiche in Egitto, e Pharos nei Paesi Bassi, che aiutano le comunità nel porre fine a questa pratica dannosa.  
 
Si pratica anche in Italia, a rischio migliaia di bimbe immigrate –  “In Italia, ogni anno ci sono 2000-3000 bambine a rischio di essere infibulate”. E’ l’allarme lanciato da Aldo Morrone, direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), alla vigilia della Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, fenomeno che solo in Italia interessa 30-35mila. Tuttavia, le tragedie personali della mutilazione genitale hanno dimensione planetaria, se si pensa che nel mondo sono oltre 120 milioni le donne vittime di questa pratica, in 29 pesi, con 3 milioni di bambine e ragazzine che ogni anno subiscono l’infibulazione.

La ricerca. E’ un dramma nascosto quello delle donne immigrate vittime di questa pratica. Solo nella capitale, dal 1996, sono state curate in diecimila. I dati arrivano dalla ricerca svolta in quattro regioni italiane e raccolti nel libro: “Sessualità e culture- Mutilazioni genitali femminili: risultati di una ricerca in contesti socio-sanitari”, a cura di Aldo Morrone e Alessandra Sannella. Lo studio ha esaminato un campione composto da 1.421 persone che lavorano in ambito socio-sanitario. Coinvolgendo 313 mediatori culturali e 1.108 operatori sanitari si è cercato di capire chi di loro era venuto a contatto con bambine a rischio di infibulazione.

Si pratica a pagamento. Anche se in Italia la legge vieta questa pratica, la situazione è sempre più preoccupante. “Nel nostro Paese ci sono ancora medici e le anziane delle comunità che, a pagamento, praticano l’infibulazione – spiega Morrone – ce ne accorgiamo solo quando le donne vengono negli ambulatori e osserviamo danni recenti che fanno pensare a un intervento di questo genere”.
Senza anestesia. Spesso le mutilazioni sono fatte senza anestesia, con coltelli, lame di rasoio, vetri rotti o forbici. Situazioni a rischio che possono portare anche alla morte.  L’emorragia che ne consegue viene arrestata tamponando la ferita con garze e bendaggi o, nei casi migliori, con punti di sutura. Le conseguenze sono infezioni, cheloidi, tetano e addirittura infertilità, oltre a problemi nei rapporti sessuali e durante il parto.

Le bambine del Corno d’Africa. “Essere a rischio non vuol dire che verranno infibulate – afferma Morrone – ma si tratta di bambine che provengono da Paesi a forte tradizione rescissoria, come  Corno d’Africa, fascia sub-sahariana, Egitto e Sudan, e se non riusciamo ad intercettarle facendo conoscere alle famiglie la realtà italiana e la legge che vieta l’infibulazione, c’è la possibilità che questo numero passi da rischio a realtà”.
 
La legge del 2006. A quattro anni dalla legge (n.7-01-2006) che vieta l’infibulazione è ancora difficile fare un bilancio sulla sua efficacia in Italia. Nel mondo più di 130 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali (Mgf) e solo in Italia si calcola che siano 30.000-35.000. E’ il dato più alto in Europa, che in totale conta 500mila vittime.

Un fenomeno nascosto. Nel nostro Paese non esistono dati ufficiali sul questo fenomeno nascosto visto che chi pratica questa usanaza può essere punito con una pena che può arrivare a 12 anni di reclusione. Spesso il problema è quello delle vacanze nei paesi d’origine. Se in Italia ‘il taglio’ è vietato, la possibilità di superare l’ostacolo è infatti quello di effettuare l’infibulazione all’estero.

Si fa nei centri per piercing. In molti paesi europei le mutilazioni vengono eseguite nei centri di chirurgia estetica vaginale o in quelli dove si fanno piercing e tatuaggi. “Il fenomeno paradossale – dice  Morrone  – è quello delle giovani ragazze, adolescenti nate in Italia da genitori immigrati o trasferitesi da piccole che desiderano essere infibulate, una volta raggiunta la maggiore età. “Siamo a conoscenza anche di casi in cui, dopo un viaggio nei Paesi d’origine – prosegue Morrone – alcune bambine sono state infibulate. Su questo gli insegnanti possono svolgere un’azione di sentinella, osservando i comportamenti e i cambiamenti d’umore delle bambine”.

Da Nuovi Orizzonti

 

Continua a leggere...

+ There are no comments

Add yours