La vittoria di Fabrizio Cardarelli e l’harakiri del Pd

Gli elettori ‘scaricano’, a Spoleto e Perugia, un sistema di gestione considerato obsoleto e non più sostenibile. Democratici umbri allo sbando: pronti i veri ‘renziani’? La composizione del nuovo consiglio comunale spoletino

Daniele Ubaldi

www.spoletonline.com

 

Ogni tanto succede qualcosa anche in questa città. Qualcosa che, senza presunzione, contribuisce a segnare la storia di questa piccola ma intellettualmente iperattiva comunità, mai sazia di essere laboratorio di idee e di politica. Dunque ha vinto Fabrizio Cardarelli, sovvertendo i pronostici di tanti – compresi molti addetti ai lavori – che davano quasi

 

per scontata l’elezione a sindaco di Spoleto di Dante Andrea Rossi. E invece il candidato del centrosinistra ha fatto 744 passi del gambero, raccogliendo appena 7 mila e 210 voti rispetto ai 7 mila e 954 del primo turno, ai quali si sommano gli altri 334 consensi di scarto tra lui e la coalizione che lo appoggiava, e che il 25 maggio scorso aveva ottenuto 8 mila e 287 voti complessivi. Per contro, il professore è passato da 5 mila e 289 a 8 mila e 835 voti, aumentando il proprio consenso di circa il 70% (visto che insegna matematica, e considerata anche l’ora tarda in cui questa analisi vede la luce, il neosindaco è pregato di correggere eventuali errori. Grazie).

Prima di aggiungere ogni altra considerazione, è opportuno partire dal dato del 2009, quando Angelo Loretoni di Rinnovamento perse il ballottaggio contro Daniele Benedetti pur ottenendo 9 mila e 501 voti, mille e 300 in meno del suo rivale. Altri tempi, certamente, altre affluenze e diverse prospettive per l’elettorato, all’epoca ancora molto legato – almeno a Spoleto – al concetto di “amministrazione di sinistra”. Il fatto è che in cinque anni le delusioni si sono inanellate una dietro l’altra. Una serie incredibile di fallimenti ha caratterizzato la giunta Benedetti, il quale per primo si è dimostrato – a prescindere se lo sia stato o meno – un sindaco assente, lontano dalle persone e come tale inviso ai cittadini. Che a Spoleto, è cosa arcinota, hanno per tradizione bisogno di presenzialismo per sentirsi coccolati, “governati” e, finalmente, anche amministrati.

 

Ecco perché, senza nulla togliere alla “folle cavalcata vincente” di Cardarelli e dei suoi, la vittoria di Rinnovamento e Spoleto Popolare finisce laddove comincia la pesante, sonora sconfitta del Partito democratico di Spoleto, ma anche di Perugia e del sistema che per anni ha funzionato da queste parti. Il serpente si morde la coda, ma il dato politico non può essere trascurato. La gente è stufa di un certo modo di intendere la gestione della cosa pubblica: stufa di confondere “diritto” con “favore”, per dirla con De Gregori, ma anche stufa dell’immobilismo tipico del Pd, incapace di cacciare via Benedetti quando i tempi erano giusti, vale a dire la scorsa estate, aprendo le porte al commissariamento ma prendendosi anche il giusto tempo per riacquistare credibilità. E invece niente, sempre sulla difensiva, ad oltranza, proteggendo una scelta che era stata operata anni prima senza neanche degnarsi di interpellare il proprio elettorato con lo strumento delle primarie. Come del resto senza primarie, cinque anni più tardi – cioè oggi -, il centrosinistra ha scelto di candidare il segretario provinciale del Partito democratico, Dante Andrea Rossi, vale a dire l’unico spoletino che conta qualcosa nelle gerarchie del più importante partito regionale. Bruciandolo puntualmente, facendogli pagare colpe non sue, o almeno non soltanto sue, molte delle quali vengono da lontano.

 

Fallimentare, per il Pd di Spoleto, si è rivelata l’intera campagna elettorale, male impostata specialmente nelle ultime due settimane, quando il partito ha scelto di attaccare Cardarelli con una veemenza mai ricordata prima, che nulla ha a che vedere con lo stile tipico di chi fa politica da sinistra, e per di più su di un argomento come la Banca Popolare di Spoleto, tema che dovrebbe in sé consigliare silenzio a diversi esponenti di spicco del Partito democratico, sia spoletino che umbro. E invece niente. Associare l’opera di denuncia di Cardarelli, da presidente della Credito e Servizi, nei confronti di alcune pesanti irregolarità gestionali in Bps, al biblico “Muoia Sansone con tutti i filistei”, si è rivelato uno dei più grandi autogol della storia della politica spoletina. Un autogol doppio, in quanto non solo ha reso tangibile la debolezza e la pochezza di argomenti rimasti in mano agli uomini della comunicazione del Pd, ma soprattutto ha cementato, ancora di più, l’esasperazione della gente che vive e vota a Spoleto, la cui rabbia cronica si è tutta catalizzata trovando immagine nel volto pacato, nei toni garbati ma decisi del professore.

 

E poi c’è l’aspetto politico più importante, vale a dire i tre poli nei quali l’Italia è spaccata, più grandi o più piccoli a seconda di dove ci si trovi: centrosinistra, centrodestra e 5 Stelle. E se in Regione si vince anche col 40% o meno dei consensi – ultimo esempio è quello di Zingaretti nel Lazio – nei Comuni con più di 15 mila abitanti il ballottaggio è spesso mannaia per chi prende più voti al primo turno. In particolare, come è accaduto anche a Perugia o a Livorno, centrodestra e 5 Stelle uniscono le forze per abbattere il candidato del Pd, alla faccia dei vari “Psiconano” ed altri epiteti ameni che l’ex comico Grillo era solito, un tempo, affibbiare all’ex cavaliere Berlusconi. Forse il crollo di consensi che ha investito l’M5S è stato battezzato, da Casaleggio e soci, come fuga di voti dell’elettorato di sinistra. Anche questo è uno spunto di riflessione interessante.

 

Sta di fatto che, nel caso di Spoleto, la situazione alla vigilia del ballottaggio si presentava ancor più complessa: fuori Forza Italia, fuori 5 Stelle, sfida finale tra Pd e un movimento civico con cinque anni di storia, ma cinque anni che sembrano 50 tante sono le battaglie portate avanti in consiglio comunale e nelle varie commissioni. Dalla trasparenza sul Festival al buco di bilancio, dall’arredo urbano alla famosa “antennona” di Monteluco, dal palatenda alla revisione del Piano regolatore generale e dell’Imu giusto per citarne alcune. Ma i voti da recuperare erano tanti: 2665 per l’esattezza, passando per la benevolenza dei grillini – 2 mila e 800 voti -, la delusione sinistroide dei bruniniani di Vince Spoleto – mille e 300 voti -, l’indifferenza dei comunisti di Sinistra per Spoleto – 500 voti – e, infine, l’ambiguità del centrodestra tradizionale, che con quasi 3 mila consensi, ma anche molti veti incrociati di vecchia memoria, ha tentato fino all’ultimo di fare l’ago della bilancia. Senza successo. Perché la gente aveva già deciso cosa fare, per tutti i motivi di cui sopra.

 

Questa sera, anzi ieri sera ormai, in piazza del Municipio a salutare il sindaco Fabrizio Cardarelli c’erano anche molti grillini, rumorosi come lo si è giustamente quando si vince. Il professore li ha ringraziati in pubblico: non è un mistero che abbia loro riservato almeno un Assessorato, quello all’Ambiente. Non male per chi ha toppato completamente la propria campagna elettorale. Per contro, pur tagliato fuori dal consiglio comunale per il gioco dei resti nel metodo di assegnazione degli scranni, Massimo Brunini di Vince Spoleto è l’altro vero vincitore di queste elezioni amministrative. E’ grazie alla sua tattica se nella giunta Cardarelli – anche questo non è un mistero – dovrebbe trovare posto uno dei suoi più fedeli collaboratori, Vincenza Campagnani, la più votata della lista dell’ex due volte sindaco di Spoleto. Ed è sempre grazie alla sua opera di scardinamento del Pd locale che, da domani – anzi oramai da oggi – il Partito democratico spoletino si troverà – anche formalmente – senza guida, al punto che non sembra più azzardato supporre che proprio a Brunini qualcuno potrebbe pensare di rivolgersi per rimettere il naso in faccia ai democratici di Spoleto. Insomma, la mega alleanza “di fatto”, messa in piedi da Cardarelli e dai suoi collaboratori, ha reso possibile cambiare colore politico alla città del Festival. Ad uscire premiata dalle urne spoletine è stata la caparbietà, la chiarezza dei concetti espressi e la capacità di parlare alla pancia della gente, magari anche con un po’ di populismo che non solo in campagna elettorale non guasta, ma che a Spoleto è considerato nota di merito. Pertanto chapeau al professore e alla sua capacità di comunicare.

 

E Rossi? Gli accordi preelettorali prevedevano la non rimozione dal ruolo di coordinatore provinciale del Pd qualunque fosse stato l’esito delle elezioni. Tuttavia, non lo si scopre certo oggi, in politica gli accordi hanno lo strano e discutibile vizio di cambiare nel giro di poche ore. A questo punto nulla può essere dato per scontato. Il discorso vale tanto per il provinciale quanto per il regionale, dato che la sconfitta di Boccali a Perugia segna l’inizio di una nuova fase per il Partito democratico umbro, con la disfatta definitiva del gruppo di interesse che fa capo a Catiuscia Marini e l’avvio, forse questa volta per davvero, del processo di “Renziziazione” anche del Pd umbro, considerato a Roma – e a Firenze – prigioniero politico della gerontocrazia e dei “renziani dell’ultim’ora”. Non è un caso, a dirla tutta, che il premier non si sia mai fatto vedere in Umbria durante la campagna elettorale, neanche in vista dei ballottaggi. Un dato, quest’ultimo, che la dice lunga anche sul processo di epurazione darwiniana messo in atto dalla segreteria nazionale. Che tutto sommato potrebbe non strapparsi tutti i capelli alla luce dei risultati nella “rossa” Umbria.

 

Il consiglio comunale provvisorio. Dei 24 consiglieri comunali che al momento risultano eletti, nove sono quelli di Rinnovamento – Francesco Zefferino Monini, Giampiero Panfili, Angelo Loretoni, Stefano Proietti, Marina Morelli, Mariarita Dell’Anno, Sandro Cretoni, Angelo Musco e Silvia Rastelli – e sei di Spoleto Popolare – Gianmarco Profili, Maria Elena Bececco, Gianluca Speranza, Antonio Cappelletti, Enrico Armadoro e Francesco Saidi. In attesa delle nomine in giunta, inoltre, primi dei non eletti risultano, per Rinnovamento, Maria Caporicci, Maria Cecilia Massarini e Sergio Bernardini, mentre per Spoleto Popolare Ilaria Frascarelli, Roberto Settimi e Aliero Dominici. Sui banchi dell’opposizione, salvo rinunce alle cariche, siedono sei consiglieri del Pd – Dante Andrea Rossi, Laura Zampa, Stefano Lisci, Massimiliano Capitani, Paolo Martellini e Carla Erbaioli -, Guido Grossi per i 5 Stelle, Giampaolo Emili della Lista Due Mondi e Alessandro Cretoni di Forza Italia. Restano dunque esclusi i socialisti – potrebbe rientrare Enzo Alleori in caso di rinuncia da parte di uno dei sei democratici -, Prima Spoleto Sì e Vince Spoleto, malgrado i quasi mille e 400 voti ottenuti dal candidato sindaco Massimo Brunini

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