Nell’intera filiera agro-alimentare italiana, dal produttore all’acquirente finale, si sprecano 6 milioni di tonnellate di cibo all’anno, pari al 16 per cento dei consumi
Eppure la lotta allo spreco presenta i seguenti vantaggi: le aziende risparmiano, l’inquinamento ambientale si riduce, la catena dei rifiuti funziona meglio, le strutture caritative dispongono di merce che altrimenti dovrebbero acquistare. E noi tutti, consumatori spreconi, diventiamo cittadini più responsabili e meno indifferenti
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Di Antonio Galdo
Finalmente abbiamo uno studio attendibile, e completo sul piano scientifico, sullo spreco del cibo in Italia. Il Politecnico di Milano ha appena pubblicato una ricerca, firmata dai professori Paola Garrone, Marco Melacini e Alessandra Perego, che quantifica il fenomeno e descrive le opportunità che possono nascere dal contrastarlo con efficacia. E’ la prima volta che arrivano statistiche a prova di verifica.
Nell’intera filiera agro-alimentare italiana, dal produttore all’acquirente finale, si sprecano 6 milioni di tonnellate di cibo all’anno, pari al 16 per cento dei consumi. E’ una cifra enorme che si concentra in modo particolare nell’ultimo anello della catena: la grande distribuzione, e in misura minore nei piccoli esercizi commerciali. Lo spreco di cibo, oltre a rappresentare un costo secco per le aziende chiamate poi a smaltirlo, è anche un elemento di inquinamento ambientale e di freno al buon funzionamento della catena di smaltimento. Anche in questo caso i docenti del Politecnico di Milano ci forniscono un dato importante: il 32 per cento dei prodotti alimentari sprecati vengono poi smaltiti nelle discariche.
L’Italia non è uno dei paesi più spreconi del mondo in materia di cibo, e fanno molto peggio, per esempio, i cittadini anglosassoni. In nazioni ricche, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, circa 100 chilogrammi di cibo per persona vengono sprecati: se la metà di tale quantità di cibo potesse essere distribuita ai paesi poveri, il problema della denutrizione nel mondo sarebbe risolto. Purtroppo, non esiste alcuna relazione automatica tra il recupero del cibo altrimenti sprecato e gli eventuali benefici per le popolazioni che sono al di sotto della soglia minima di nutrizione. Ma esiste, e anche questo è documentato dal punto di vista scientifico, un rapporto tra il cibo recuperato e i benefici che ne derivano per il sistema del volontariato impegnato a favore dei poveri. Soltanto nel 2011, per esempio, il Banco alimentare è riuscito a recuperare 65mila tonnellate di prodotti alimentari per poi distribuirli a 8.673 strutture caritative. E’ un intervento di grande efficacia e utilità, perché le associazioni che operano in questo settore sono sempre a corto di risorse finanziarie e devono fare i conti con continui tagli dei contributi ricevuti dalle amministrazioni locali.
Ricapitolando, la lotta allo spreco di cibo presenta i seguenti vantaggi. Le aziende risparmiano, l’inquinamento ambientale si riduce, la catena dei rifiuti funziona meglio, le strutture caritative dispongono di merce che altrimenti dovrebbero acquistare. E noi tutti, consumatori spreconi, diventiamo cittadini più responsabili e meno indifferenti