Conflitti d’interesse in politica , troppi casi anche nelle amministrazioni pubbliche

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Conflitto di interessi. Appunti per una nuova legge

La formazione della nuova maggioranza vede, tra i punti qualificanti, l’approvazione di una legge sul conflitto d’interessi, una delle riforme più rinviate e più urgenti per consentire, da un lato, un miglior funzionamento delle istituzioni, senza condizionamenti privati e, dall’altro, un recupero della fiducia dei cittadini nella politica.

  1. Nozione. Il conflitto d’interessi si realizza quando chi ricopre una carica pubblica, in virtù della quale deve perseguire (esclusivamente) interessi pubblici, è titolare o rappresentante di interessi privati (propri o di prossimi congiunti), che potrebbe essere tentato dal favorire, perdendo di vista quelli pubblici. Perché vi sia conflitto d’interessi, l’interesse pubblico non deve subire necessariamente un danno diretto, perché il solo fatto che l’azione del titolare della carica pubblica sia avvenuta in presenza di un interesse privato la delegittima, creando sospetti e sfiducia. D’altronde, non deve esserci nessuna rilevanza penale, perché in tal caso saremmo già all’interno di vere e proprie fattispecie corruttive.
  2. Lo stato dell’arte e la disciplina vigente. Regole capaci di separare l’interesse pubblico da quello privato sono state storicamente introdotte soprattutto nelle esperienze in cui è più frequente il passaggio dalla business community alla politica, a partire dagli Stati Uniti d’America. In Italia, la questione è emersa in modo prorompente nella c.d. “Seconda Repubblica”, fin dalla formazione del Governo Berlusconi I.

Nonostante alcuni tentativi esperiti durante la XII e XIII legislatura, solo nel 2004 il Parlamento italiano è riuscito ad approvare una legge sul conflitto d’interessi per i membri del Governo. Si tratta della legge 20 luglio 2004, n. 215, la quale prevede anzitutto una serie di incompatibilità, che, al di là di necessità di perfezionamento anche rispetto al procedimento di applicazione, consentono la separazione degli interessi pubblici da quelli privati che discendano da ruoli di rappresentanza degli stessi (cariche in enti pubblici, attività professionali, posizioni d’impiego, ecc.). Maggiori carenze si riscontrano, invece, per le incompatibilità post-carica. Del tutto inefficace, però, la legge si presenta per quanto concerne il conflitto d’interessi di tipo patrimoniale. Per chi sia azionista di rilievo di una grande impresa, chiamato a ricoprire una carica di governo il conflitto rimane, essendo previsto solo un obbligo di astensione quando l’atto o l’omissione ha un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate. Manca qualunque efficace strumento di separazione degli interessi.

Questa legge è stata oggetto di serrate critiche da parte del Consiglio d’Europa (e in particolare della Commissione di Venezia), con il parere n. 309/2004 del 13.06.2005 [CDL-AD(2005)017] , che ne evidenziava l’inefficacia, invitando l’Italia «a continuare a studiare la questione, al fine di trovare una soluzione appropriata». Ma, nonostante alcuni tentativi di affrontare la questione, peraltro non sempre efficacemente, nessuno di questi è andato a buon fine.

  1. La riforma da approvare (in sintesi). In questa legislatura, sulla base della proposta Macina (M5S), A.C. 1461, è iniziata la discussione in Commissione affari costituzionali. Il testo interviene positivamente sulla definizione, eliminando i riferimenti all’incidenza specifica e preferenziale sulla sfera patrimoniale del titolare o dei suoi congiunti e il danno per l’interesse pubblico e contiene misure finalizzate a prevenire il conflitto di interessi di natura patrimoniale.

Questo rappresenta il punto centrale per verificare l’effettiva efficacia della disciplina. La modalità con cui normalmente si è ritenuto di procedervi, oltre all’ipotesi di dismissione del proprio patrimonio attraverso la vendita (ipotesi più volte praticata negli Stati Uniti), è quella del blind trust, il cui elemento qualificante è la blindness: occorre, infatti, che il titolare della carica pubblica non conosca (più) dove sono localizzati i propri interessi, affidati al tustee specializzato. Solo in questo modo, infatti, egli potrà agire senza condizionamenti nella propria attività pubblica. Perché questo sistema funzioni è quindi molto importante che siano stabilite regole volte a evitare qualunque possibilità che il titolare della carica pubblica venga edotto circa i propri interessi economico-finanziari, di cui potrà conoscere solo l’entità quantitativa, con rapporti periodici. La proposta all’esame della prima Commissione mira a realizzare questi obiettivi, anziché attraverso il blind trust, attraverso un mandato fiduciario, che risulta comunque efficace almeno nella misura in cui prevede (come il blind trust) la necessaria trasformazione (integrale) del patrimonio dell’interessato. Probabilmente qualche ulteriore miglioramento di dettaglio è utile, al fine di assicurare che il titolare della carica pubblica non abbia alcuna informazione al riguardo. Il sistema, dovrebbe prevedere il ricorso a questo strumento quando nessun altro è in grado di garantire la separazione degli interessi, dovendosi prima verificare l’idoneità delle incompatibilità, da disciplinare con attenzione anche per un periodo (“di raffreddamento”) successivo alla carica, l’esclusione dall’assunzione di determinate decisioni, l’obbligo di astensione. Ciò sempre in ossequio al criterio del minimo mezzo, ma sul presupposto che, come ha chiaramente detto la Commissione di Venezia, nel suo parere del 2005, «il fatto di dedicarsi alla politica [è] una libera scelta di ciascun individuo. […] Una carica governativa determina un certo numero di incompatibilità e di limiti. Purché siano ragionevoli, chiari, prevedibili e non compromettano la possibilità stessa di accesso ad una carica pubblica, ogni individuo è libero di decidere se accettarli a meno».

Un punto da approfondire riguarda i soggetti destinatari, che oggi sono solo i componenti del Governo di cui alla legge n. 400/1988, e che la proposta Macina estenderebbe – opportunamente – ai membri delle Autorità di garanzia e regolazione e ai componenti degli esecutivi regionali e locali.

 

 

Andrea Pertici, Ordinario di diritto costituzionale a Pisa

 

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