Gap tra pensione e ultimo stipendio

La prestazione previdenziale non è più legata alla retribuzione: dipende da quello che il dipendente ha versato nell’arco dell’intera vita lavorativa, come pensione principale e come pensione integrativa. È logico, quindi, che prima si comincia a versare più si avrà alla fine”.
Con queste parole il direttore generale della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip), Raffaele Capuano, ha commentato l’attuale situazione previdenziale italiana, in occasione dell’evento “Giornate della Previdenza” svoltosi a Milano lo scorso luglio. La questione della capacità o meno del nostro sistema di garantire una pensione adeguata è, infatti, sempre al centro del dibattito.

In particolare, si parla spesso di tasso di sostituzione, cioè del rapporto tra l’importo annuo della prima rata di pensione e l’importo annuo dell’ultima retribuzione; esso rappresenta la variazione di reddito del lavoratore nel passaggio dalla fase di attività a quella di ritiro.
Ma come è cambiato questo valore con la Riforma Fornero?

Secondo il rapporto annuale stilato dalla Ragioneria dello Stato sulle tendenze del sistema previdenziale, i tassi di sostituzione post-riforma appaiono effettivamente più elevati rispetto a quelli pre-riforma, proprio per via dell’aumento dei requisiti d’età e di contribuzione. Il principio secondo cui “più lavori, più pensione ricevi” è dunque rispettato in pieno.
Vediamo un esempio per capire meglio:
considerando un lavoratore dipendente di 68 anni e con 38 anni di contributi, i tassi di sostituzione lordi (cioè non al netto degli effetti fiscali e contributivi) sono aumentati del 4%. Tuttavia, la tendenza alla riduzione proporzionale di questo tasso nel corso del tempo rispetto al passato permane soprattutto se consideriamo le percentuali di copertura pre- riforma garantite a quei lavoratori che potevano contare, in tutto o in parte, sul più “generoso” e ormai “estinto” metodo di calcolo retributivo. Nello specifico, se quel lavoratore nel 2010 poteva godere di un tasso pari al 74%, nel 2060 la percentuale scenderà al 63,6%, in quanto sarà in vigore unicamente il sistema contributivo.

Tali valori restano comunque delle misurazioni su base aggregata, cioè si basano su fattori necessariamente ritenuti fissi e costanti nel tempo. Fattori che, vista la situazione economica attuale, difficilmente rimarranno stabili proprio perché appare sempre più faticoso intraprendere una carriera continuativa e senza interruzioni; precarietà, maggiore flessibilità del mercato del lavoro, contratti labili e senza garanzie renderanno infatti alquanto arduo un versamento regolare dei contributi previdenziali. L’entrata a pieno regime del sistema contributivo determinerà dunque condizioni di pensionamento (in termini di età pensionabile e di tasso di sostituzione) piuttosto gravose per chi avrà alle spalle una storia contributiva frammentata.

Laura Giulia Cerizza
Redazione Global Publishers

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